Gli omakase sono un’esperienza che trascende il semplice atto del mangiare: sono un dialogo intimo tra chef e ospite, una danza di mani esperte che plasmano piccoli capolavori davanti ai tuoi occhi. Seduto al bancone, avverti il silenzio del rispetto, il suono sottile del coltello che accarezza il pesce e il crepitio del riso che viene plasmato con delicatezza.
Ogni boccone è un segreto sussurrato dal mare, un racconto fatto di stagioni, tradizioni e sapienza tramandata. Il maestro, come un poeta, interpreta il pescato del giorno con gesti precisi e leggeri, trasformando l'umile riso e il pesce crudo in qualcosa di spirituale. Ogni portata arriva come una sorpresa, un regalo avvolto dall’eleganza, che ti invita a rallentare, assaporare, vivere.
Conosco Masato da almeno quattro anni, quando gli telefonavo per ordinare per asporto un po’ del suo mondo. Al tempo lavorava nella sua ghost kitchen, riusciva a confezionare anche tutta la sua passione, che puntualmente mi portavo a casa saltellando e fantasticando sulle sue movenze in cucina. Ho sempre trovato la cultura gastronomica giapponese tra le più affascinanti e misteriose del mondo, un sussurro antico, un incontro segreto tra il rigore della tecnica e la poesia del gesto.
Silenzio
Da Yamaneko l’atmosfera è rarefatta, quasi sacra, eppure intima: un viaggio sensoriale dove il tempo sembra fermarsi. Non appena varco la soglia d’ingresso, sento un tuffo al cuore: mi sono letteralmente teletrasportata in un omakase di Tokyo, un microcosmo silenzioso e vibrante. Non sono più a Udine, decisamente non più in Friuli, tantomeno in Italia. Mi sento dall’altra parte del mondo e pregusto che quello che sto per vivere non è solo un “pranzo” ma, come scoprirò solo alla fine, una celebrazione della bellezza della transitorietà.
Mi accomodo al bancone di legno lucido, di fronte al maestro Masato, separati solo da una manciata di centimetri eppure divisi da un oceano culturale. Con un’eleganza distinta mi porge un cofanetto e, con il sorriso più genuino che io abbia mai visto, mi chiede di scegliere. Davanti a me una vasta selezione di bacchette di legno colorate, scelgo un paio bordeaux ricamato con piccoli decori colorati e lo ringrazio.
L'aria è pervasa da un senso di riverenza, provo a sciogliere l’atmosfera ricordandogli che di tanto in tanto ho ordinato d’asporto. Lui, dopo qualche istante di silenzio, si assicura se mi sono trovata bene. Non ho potuto fare a meno di notare come, ad ogni domanda, Masato si prenda del tempo per rispondere, come se stesse cercando la parola giusta, la più vera. Prima di parlare, solleva appena lo sguardo dal suo lavoro e puntualmente mi regala un sorriso disarmante, un’espressione che contiene insieme modestia e orgoglio. Il sorriso di chi sa di custodire un sapere antico, ma che non si fa mai vanto di condividerlo. Sembra dire senza parole: "Ogni risposta è importante quanto la tua domanda." Poi, quando finalmente parla, lo fa con voce bassa e calma, non c'è fretta nelle sue frasi, nessuna superficialità. "Quando ero bambino cucinavo insieme a mia madre" spiega, interrompendo la danza elegante delle sue mani impegnate. "Da lei ho appreso quasi tutto. Ma è stato un maestro di sushi di Tokyo a insegnarmi l’arte dei nigiri.”
Le sue spiegazioni non sono solo tecniche, sono poetiche. Quando gli ho chiesto cosa significasse davvero "omakase," lui si è preso qualche secondo in più, gli occhi che cercavano di tradurre un concetto tanto semplice quanto impossibile da spiegare del tutto. Poi, con quel sorriso che illumina tutto nella stanza, risponde: "Significa fidarsi. Affidare il tuo viaggio a qualcun altro."
Capisco allora che la sua arte non è solo nelle mani, ma anche nelle pause tra le parole, negli spazi lasciati al silenzio. È un modo di comunicare che insegna a rallentare, ad ascoltare non solo ciò che viene detto, ma anche tutto ciò che rimane non detto. E in quegli spazi, nel suono del coltello che taglia il pesce, nell'odore del riso caldo che aleggia nell’aria, c'è tutto il suo Giappone.
Menù / sushi / banco
In fase di prenotazione, via e-mail, ho optato per il menù di sushi esclusivamente pensato per il servizio al banco: “Sushi e il sapore di mare di chef” おまかせ寿司と海鮮コース.
Il profumo del riso pervade la stanza, i miei occhi scorrono attenti ogni suo movimento. Mi serve del tè verde da una teiera in porcellana bianca e dell’acqua naturale. Mentre sorseggio il tè, noto con piacere che me lo ha servito ad una temperatura perfetta per essere gustato immediatamente. Lo osservo assorta tagliare con precisone il pesce e completare l’impiattamento con le salse.
Il primo boccone è un sashimi di rombo con una salsa densa alle noci, chiudo gli occhi e li riapro solo dopo aver deglutito. Sentivo il peso dei suoi occhi sui miei, non c’è stato bisogno di dire niente a parole, bastavano i miei occhi lucidi, resi ancora più lacrimanti dal tonno condito con lo stelo di wasabi, estremamente pericoloso. A chiudere l’entrèe salmone con salsa di miso, aceto e mostarda, un abbraccio umami.
A questo punto parte la batteria di dodici nigiri, serviti uno ad uno con delle fondamentali pause in mezzo, e adagiati sul mio vassoio come pietre preziose. Tra una preparazione e l’altra gli faccio diverse domande. Come sempre, dopo una breve pausa, mi regala scorci di vita, tra quella giapponese in cui si è laureato in letteratura fracese e ha lavorato come critico gastronomico e quella friulana, parentesi da cuoco che sta durando da ben tredici anni. “Per motivi familiari, ho seguito mia moglie in Italia, che si era trasferita per lavoro prima a Cuneo e poi qui, mentre mio figlio a Milano. Non avevo voglia di pagare tre affitti”, confessa ridendo.
Mi serve un suo pezzo forte, che ricordo dai tempi della ghost kitchen: nigiri di gambero cotto, avvolto nella sua sottilissima omelette. Parola d’ordine: delicatezza.
Seguono le sue altre creazioni, servite come se stesse componendo un puzzle, come se stesse scrivendo una storia. Mi spiega che il menù varia sulla base del miglior pescato presente sul mercato nazionale.
Il tonno marinato riassume la freschezza dell’alba: il gusto è deciso, minerale, e si equilibra con la vivacità agrumata della marinatura che accende ogni papilla, lasciando una scia di pura luminosità. Il nigiri con uova di salmone e salmone, da lui rinominato “padre e figli”, solletica il palato scoppiettando. Seguono l’orata, la capesanta dalla consistenza burrosa che fa le capriole grazie alla nota mediterranea data dalla foglia di basilico, il gambero rosso che si scioglie in bocca, la meravigliosa ricciola, lo sgombro marinato che regala un’esplosione di sapori complessi, il suro con la sua eleganza.
E poi arriva il riccio di mare, adagiato su una coperta di alghe croccanti. La sua cremosità è pura opulenza, un sapore iodato che danza con una lieve nota burrosa, come un tramonto che si adagia lentamente sull’orizzonte. L’anguilla leggermente scottata e spennellata con una glassa al miso dolce, è una rivelazione. E poi, quello che secondo me è stato uno tra i pezzi più goduriosi: la ventresca di tonno rosso, con la sua superficie lucida che si scioglie al contatto con il palato. Il grasso è vellutato, profondo, una carezza umami che si fonde con il calore del riso perfettamente condito, regalando una dolcezza marina che sembra echeggiare il sussurro delle onde.









Un po’ sopraffatta da tanta bellezza chiedo a Masato come mai in tutti i locali occidentali giapponesi lasciano i commensali liberi di pucciare il sushi nella salsa di soia. Il suo volto si rabbuia, dopo qualche attimo di riflessione, mi risponde con una domanda: “Tu al ristorante stellato chiederesti al cameriere di portarti sale e pepe?”. Come sempre, non serve aggiungere altro. Se un sushi è fatto a dovere, non ha bisogno di alcuna aggiunta, tanto meno del rischio di rendere un capolavoro un mapazzone inzuppato e troppo salato.
Chiude con il gindara, ovvero il Carbonaro dell’Alaska, conosciuto anche come black code al saikyo-yaki: miso bianco in stile Kyoto, accompagnato da broccolo e patata dolce al vapore. Un piatto elegante, burroso, delicato, mai invadente.
Ogni portata da Yamaneko racconta una stagione, un’emozione. Masato non si limita a cucinare: dipinge con i sapori, componendo un affresco culinario capace di trasportarti in un viaggio tra le profondità del mare e la quiete dei monti giapponesi. È una sinfonia che non si dimentica, un’esperienza che ti fa innamorare della vita, un boccone alla volta.
Non c’è stato spazio per le distrazioni, anche il sake è arrivato solo alla fine.
Mi ha proposto un Dai Ginjo di Hakutsuru, prodotto solo con il cuore delle migliori selezioni di riso Yamada-Nishiki e acqua pura della famosa sorgente naturale di Nada "Miyamizu". Il sorso è delicato, con sentori fruttati e una morbidezza vellutata. Masato suggerisce di sorseggiarlo freddo o a temperatura ambiente.
Conclusioni
La cucina di Masato non si rivela tutta in una volta, ma si svela a poco a poco, come un haiku sussurrato al vento. È un viaggio lento, che insegna ad apprezzare la bellezza nell’impermanenza, a trovare il sublime nell’essenziale. E mentre assapori, ti perdi in un mistero che non chiede di essere risolto, ma solo di essere amato. Grazie di cuore Masato, quello che mi hai regalato è molto più di un semplice pranzo.
Yamaneko Bento
Viale Trieste 2, Udine
Solo su prenotazione: 0432 542114 | trattoriayamaneko@gmail.com
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